Orphée en guerre!

Home / Regie Sinfonie 2017—2018 / Orphée en guerre!

18/05/18
Chiesa di Santa Pelagia

 

Singolo 10,00 €

Ridotto 6,00 €

Orphée en guerre!
Musica italiana alla corte dei Re di Francia
I Giovani dell’Academia Montis Regalis
Olivia Centurioni, violino e direzione
Louis XIV Le Roi Soleil
Parallèle des Italiens et des François
François Raguenet e Monsieur Le Cerf de Viéville

Francesco Cavalli (1602-1676)
Canzona a 8 (Musiche Sacre, 1656)

Jean-Baptiste Lully (1632-1687)
Suite orchestrale da Aci et Galatée (1686)

Arcangelo Corelli (1653-1713)
Concerto Grosso in re maggiore
op. 6 n. 1 (1714)
Largo, Allegro – Largo, Allegro –
Largo – Allegro – Allegro

Jean-Féry Rebel (1666-1747)
Fantasia (1729)

Louis XV
La Querelle des Bouffons
Jean-Jacques Rousseau e Louis-Bertrand Castel

Michele Mascitti (1664-1760)
Concerto Grosso op. 7 (1727)

Giovanni Battista Pergolesi
(1710-1736)
Ouverture da Adriano in Siria (1734)

Jean-Philippe Rameau (1683-1764)
Suite orchestrale da Les Indes Galantes (1735)

Leonardo Leo (1694-1744)
Sinfonia da L’Olimpiade (1737)

Jean-Philippe Rameau
Ouverture da Zaïs (1748)

Giovanni Battista Pergolesi
Ouverture da L’Olimpiade (1734

ORPHÉE EN GUERRE! – Giovanni Tasso

Da più di due millenni l’Italia e la Francia sono divise da una profonda rivalità, che dai campi di battaglia si è progressivamente trasferita in altri ambiti, dalla moda alla cucina e dall’arte allo sport, al punto che si fa fatica a trovare un argomento – anche il più ovvio – in cui i due paesi possano dire di avere la stessa opinione. Questo stato di cose può essere spiegato con la fortissima personalità di entrambe le nazioni, che nel corso dei secoli hanno sempre cercato – spesso con successo – di imporre il proprio gusto agli stati confinanti, rimanendo quasi sempre impermeabili alle influenze provenienti dall’estero. Date queste premesse, nessuno può stupirsi del fatto che queste divergenze siano spesso sfociate in clamorose polemiche, non di rado degenerate anche in episodi di violenza, per stabilire a quale dei due paesi spettasse la palma della vittoria.

Nel XVIII secolo tra l’Italia e la Francia scoppiarono due vivaci polemiche, che – dalle discussioni di dotti letterati – si estesero rapidamente a un pubblico più eterogeneo e agguerrito, creando fazioni in aperta lotta tra loro. La prima venne scatenata da François Raguenet, un coltissimo abate amante delle arti che – dopo un soggiorno di due anni a Roma al seguito del cardinale de Bouillon – nel 1702 scrisse il Parallèle des Italiens et des Français en ce qui regarde la musique et les opéras, un saggio in cui esaltava la leggerezza e la melodiosità della musica italiana, rispetto alla deprimente insulsaggine dei lavori di Jean-Baptiste Lully e André Campra. Il tema era già scottante di per sé e Raguenet non aveva usato mezze misure, per cui era inevitabile una forte reazione da parte degli estimatori dello stile francese. Il capofila di questa vibrata protesta fu Jean-Laurent Le Cerf de la Viéville, giovane e baldanzoso signore di Fresneuse, che confutò radicalmente il Parallèle del rivale con il non meno esplicito Comparaison de la musique italienne et de la musique française, nel quale aggiunse una biografia di Lully – autore tanto caro ai francesi per il fatto di avere lasciato l’Italia per il paese transalpino – e un saggio sul buon gusto di musica. Questa polemica durò diversi anni, con la pubblicazione da una parte e dall’altra di diversi pamphlet al vetriolo e una serie di iniziative che resero quanto mai vivace il panorama musicale parigino.
Alla fine, questa “guerra musicale” si placò – probabilmente per esaurimento di argomenti – senza stabilire la vittoria inconfutabile di una parte sull’altra, con i “patrioti” che continuarono a godersi le interminabili tragédie-lyrique francesi e gli esterofili tutti presi a celebrare il culto della Scuola Napoletana.

Si trattava però di una guerra fredda, con la brace che covava sotto la cenere, in attesa che un nuovo pretesto venisse di nuovo a scatenare la bagarre. Il casus belli si verificò nella afosa serata del 1° agosto del 1752, quando una compagnia itinerante di cantanti italiani – definiti altezzosamente dai parigini con lo sprezzante termine di “bouffes” – mise in scena all’Académie Royale de Musique di Parigi La serva padrona di Giovanni Battista Pergolesi. In realtà, non si trattava di un evento particolarmente “sensibile”, visto che l’intermezzo del compositore di Jesi era già stato allestito nella capitale parigina qualche anno prima senza destare alcuno scalpore, ma quella fatidica sera doveva essere rappresentata anche Acis et Galatée, una delle opere più amate ed eseguite di Lully, che era stata presentata per la prima volta oltre mezzo secolo prima, un fatto del tutto inconsueto per l’epoca. Di fronte a questa situazione, tutti si resero conto che si era finalmente arrivati alla resa dei conti, al duello finale che avrebbe visto prevalere uno solo dei contendenti. Rispetto ai tempi di Raguenet, molti francesi avevano però cominciato a cambiare i propri gusti, anteponendo la vivace melodiosità e il gradevole realismo delle opere italiane di Pergolesi e Piccinni alle troppo elaborate e artificiose – per quanto pregevoli sotto l’aspetto puramente musicale – creazioni di Rameau. A favore dello stile italiano scesero in campo parecchi artisti di fama, tra cui gli Enciclopedisti, mentre i tradizionalisti più irriducibili si schierarono a strenua difesa del patrimonio nazionale. Queste fazioni si misero in luce – spesso rumorosamente – anche in teatro, con il coin du roi filofrancese concentrato sotto il palco del monarca (che, al di là dei suoi gusti, non poteva tradire apertamente i compositori suoi sudditi) e il coin de la reine a sostenere les italiens. Anche in questo caso la polemica divampò feroce e non si risparmiarono le contumelie più volgari. Alcuni mesi dopo la rappresentazione incriminata, fece sentire la sua autorevole voce Jean-Jacques Rousseau, che nel giro di un paio di mesi fece pubblicare la Lettre d’un Symphoniste de l’Académie Royale de Musique à ses Camarades de l’Orchestre e la Lettre sur la Musique Française, che fecero pendere decisamente la bilancia dalla parte dell’Italia, giungendo addirittura al punto di criticare apertamente un monumento nazionale come l’ormai settantenne Rameau, che preferì non entrare in una diatriba troppo violenta per il suo carattere. Era il pugno del knock out: Piccinni e i compositori italiani avevano vinto, mentre i francesi – dopo avere ingoiato il rospo – iniziarono a guardare al futuro. In fondo, non era morto nessuno e dopo essere caduti ci si rialza e si riparte.