Alternatim

 

15/12/17
Duomo di San Giovanni Battista

Paul Hofhaimer (1459-1537)
Salve Regina per organo
e schola gregoriana
Salve Regina – Vita dulcedo – Ad te clamamus – Ad te suspiramus – Eja ergo – Et Jesum – Nobis post hoc – O clemens –
O pia – O dulcis Virgo Maria

Louis Couperin (1626-1661)
Conditor alme siderum
Conditor en haute-contre, en trio –
Qui daemonis ne fraudibus – en trio cantus à l’alto – Cuius potestas gloriae – en trio, à deux dessus – Virtus, honor, laus, gloria

Félix Antonio López (1742-1821)
Versos de Tercer Tono
Andantino. Lengueteria – Pange, lingua, gloriosi – Allegro. Flauta traversera y Octava – In supremae nocte cenae – Andante. Corneta y Orlos – Tantum ergo Sacramentum – Allegro no mucho.
Manejo svelto – Amen – Andantino. Lleno
Giovanni Quirici (1824-1896)
Messa per organo in sol maggiore
Marcia d’Introduzione – Introito:
Puer natus – Quattro brevi versetti fugati per il Kyrie – Kyrie: Missa XIV “Jesu Redemptor” – Sei versetti strumentati per il Gloria – Gloria: Missa XIV“Jesu Redemptor” – Suonata per l’Offertorio – Andantino per l’Elevazione – Communio: Viderunt omnes – Suonata per la Consumazione – Marcia campestre
per dopo la Messa Alternatim, avverbio: “alternamente, che si alterna, che si avvicenda”. Questa è la definizione che si può ricavare incrociando la ricerca su un vocabolario della lingua latina con uno della lingua italiana. Ma quale significato assume questo avverbio in contesto musicale? Chi (o che cosa?) dovrebbe alternarsi durante una cerimonia liturgica? Cerchiamo di trovare una risposta.

All’interno della musicologia liturgica l’avverbio alternatim – proprio nella sua forma latina – è giunto a identificare una pratica piuttosto precisa che ebbe una diffusione endemica soprattutto (ma non solo) in ambiente cristiano-cattolico. Essa affonda le sue radici nel canto antifonico praticato entro le mura dei monasteri, in cui la comunità dei monaci radunata in preghiera si divideva in due semicori, cantando alternamente salmi e inni. La ragione – sembrerà superfluo notarlo – va ricercata nella necessità di alleggerire il canto delle lunghe (talora lunghissime) e vocalmente impegnative liturgie, specialmente dell’Ufficio.

Nel corso dei secoli – a partire dal tardo Medioevo – questa pratica iniziò a coinvolgere non più solamente il coro dei consacrati, ma anche i cantori delle cappelle musicali, che alternavano alla monodia in “canto piano” (ossia in canto gregoriano) la polifonia in “canto figurato”. Quando non era disponibile a questo scopo un gruppo di cantori professionisti, veniva affidato al solo organo il compito di alternarsi alle voci.
A partire dunque dal primo Cinquecento, la letteratura organistica si arricchì di una grande quantità di “versetti” dei quali l’organista poteva servirsi per “rispondere in choro”. L’uso prese grandemente piede e dovette piacere tanto da diventare uno dei modi di far musica più diffusi all’interno delle sacre mura. Organisti e compositori presero a scrivere una grande quantità di opere appositamente pensate e destinate a questa pratica. Essi traevano ispirazione soprattutto dai cosiddetti “toni ecclesiastici” (ossia da quel ristretto corpus di melodie sulle quali venivano cantati i Salmi). In altri casi, le basi sulle quali venivano costruiti i brani organistici erano le melodie stesse dei canti: le singole note del motivo gregoriano, aumentate nel loro valore (il “cantus firmus”), venivano utilizzate ora come note del basso, ora come note d’armonia, celate nello stretto contrappunto ma sempre riconoscibili all’orecchio attento e allenato del cantore.

Il programma di questo concerto vorrebbe proporre un rapido volo attraverso le epoche, cercando di analizzare come in diverse aree geografiche lo stile musicale del momento sia stato recepito, trasferito e applicato in contesto liturgico.

Con il primo autore, Paul Hofhaimer, possiamo ascoltare una delle testimonianze più antiche di questa pratica in ambito organistico. Nato e vissuto in Austria, fu tra i musicisti più apprezzati del suo tempo: Paracelso, per esempio, lo presenta come il migliore degli organisti fino ad allora conosciuti; pare anche che avesse una particolare inclinazione e propensione per l’improvvisazione. Nei vari movimenti, Hofhaimer utilizza il tema gregoriano della Salve Regina (tono solenne) sempre come voce interna o come linea melodica, tessendo con le altre voci un contrappunto fresco, straordinariamente moderno per la sua epoca.

Con Louis Couperin, invece, ci trasferiamo nella Francia del Re Sole. Il giovanissimo Louis fu notato da un musicista attivo presso la Corte, Jacques Champion de Chambonnières il quale, impressionato dalle sue precoci doti, lo volle portare con sé a Parigi, tenendolo come allievo. A 27 anni ottenne il prestigioso posto di organista presso la chiesa di Saint-Gervais e dopo poco prese anche servizio a corte come suonatore di viola. I tre brani sopra il Conditor alme siderum – inno tratto dalla liturgia dei Vespri della I Domenica di Avvento – fanno parte di un fortunatissimo ritrovamento risalente a non molti anni or sono, quando poche opere organistiche di Louis Couperin erano note: un unico manoscritto, conservato in Inghilterra in una collezione privata, ci ha restituito circa il 90% della produzione del Nostro per questo strumento.
Félix Antonio López, musicista ispanico quasi sconosciuto, fu al contrario attivo e prolifico compositore alla Corte di Madrid nella seconda metà del XVIII secolo, occupando per molto tempo il posto di primo organista. Questi suoi Versos de Tercer Tono sono tratti da una raccolta ancora manoscritta conservata alla Biblioteca Nacional de España. Il loro carattere è brillante, l’invenzione melodica prende il sopravvento sulla rigidità del contrappunto e risente di un gusto musicale ormai molto mutato, che si ispira alla leggerezza delle sonate di Scarlatti piuttosto che alla compostezza dello stile severo.

Con Giovanni Quirici, infine, veniamo in contatto con un autore tra i più fecondi del suo genere. Lombardo di nascita ma piemontese di adozione, fu tra i più produttivi creatori di musica per organo in stile operistico. Specialmente nell’Italia settentrionale, infatti, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, fra le mura di chiese e cattedrali andò insinuandosi quella scrittura musicale, quella formula di fisica musicale e chimica espressiva che tanto infiammava gli animi nei teatri d’opera. Anche gli organi, di conseguenza, furono adattati per poter al meglio imitare gli strumenti dell’orchestra: alla leggerezza degli ottavini si contrappone la crassa rotondità delle bombarde, agli squilli penetranti delle trombe la dolcezza delle viole e della voce umana. Il tentativo, dunque – eseguendo integralmente la Messa per Organo in sol maggiore di Quirici, alternata agli interventi della Schola gregoriana – sarà quello di ricreare l’atmosfera nella quale ci si poteva immergere entrando in chiesa sul finire dell’Ottocento… e forse – perché no? – in quegli anni questa stessa atmosfera si poteva respirare anche a Torino.