La città Regina

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21/04/18
l’Arciconfraternita della Misericordia

Singolo 10,00 €

Ridotto 6,00 €

La città Regina
Voci di popolo e di intellettuali nello splendore e agonia di Costantinopo
Ensemble vocale e strumentale
Esaltazione di Costantinopoli
Inno bizantino Evloyitos i Kyrié

Esaltazione di Maometto II
Anonimo: Marcia dei Janizzeri

Scoppio della guerra
Antoine Busnois (ca 1430-1492):
L’Homme Armée
Guillaume Dufay (ca 1397-1474):
Kyrie-Christe-Kyrie
(Missa L’Homme Armée)
Anonimo: Marcia dei Janizzeri

Lo scontro
Johannes Ockeghem (ca 1410-1497):
Kyrie-Christe-Kyrie
(Missa L’Homme Armé)
Anonimo: Marcia dei Janizzeri
La disfatta
Guillaume Dufay: Lamentatio
Sanctae Matris Ecclesiae
Costantinopolitanae
Johannes Regis (ca 1425-ca 1496):
Celsi tonantis
Canto arabo-cristiano Moubarakon
antaya

La pace
Josquin Desprez (ca 1440-1521):
Agnus Dei (Missa Sexti toni
L’Homme Armé)

LA CITTÀ REGINA – Giovanni Tasso
Il 29 maggio del 1453 le truppe di Maometto II fecero irruzione dentro le mura di Costantinopoli, ponendo sanguinosamente fine all’impero romano d’Oriente, durato tra alterne vicende 1058 anni. I truculenti racconti delle atrocità commesse dai vincitori fecero rapidamente il giro dell’Europa cristiana, gettando tutti nella costernazione ed evocando lo spettro del pericolo musulmano, un incubo che nei successivi 250 anni sarebbe cresciuto a dismisura con l’avanzata apparentemente inarrestabile nei Balcani delle armate islamiche, che iniziarono a essere ricacciate indietro solo alla fine del XVII secolo, dopo il secondo assedio di Vienna e la clamorosa vittoria riportata a Zenta nel 1697 dal principe Eugenio di Savoia. Da allora gli Ottomani iniziarono gradualmente a perdere terreno, ma Costantinopoli sarebbe rimasta per sempre nelle loro mani.

Per onestà intellettuale, va detto che i monarchi latini che piansero calde lacrime per la caduta dell’impero bizantino non avevano mai dimostrato particolare simpatia per la “Seconda Roma”, un atteggiamento che affondava le sue radici nei duri contrasti politici risalenti a oltre un millennio prima, a un’epoca addirittura precedente alla dissoluzione dell’impero romano d’Occidente avvenuta nel 476, con la deposizione del debole Romolo Augustolo e l’ascesa al potere del generale erulo Odoacre, e che si sarebbe acuito prima con il Grande Scisma del 1054, che vide la Chiesa ortodossa staccarsi da quella di Roma con reciproche scomuniche, e poi con il terribile saccheggio perpetrato nel 1204 dai crociati, che vide cristiani uccidere senza pietà altri cristiani in nome del dio denaro.
Quello che faceva più paura ai cristiani era il cambiamento di campo, con la guerra che era arrivata in casa loro dopo le ripetute disfatte patite in Terra Santa. Ci fu anche chi vide nella marea montante islamica una punizione divina per i gravi peccati commessi dalla cristianità, interessata al potere e ai beni terreni e sempre più lontana dagli ideali spirituali e profondamente umani portati sulla Terra dal Redentore.

Il programma di questo concerto evoca in maniera molto suggestiva le fasi salienti di questa lotta epocale, aprendosi con una sorta di presentazione dei due contendenti, con l’inno Evloyitos i Kyrié (Benedetto il Signore) a esaltare la grandezza dell’impero bizantino e una marcia di giannizzeri – molto ricca sotto il profilo timbrico grazie alla presenza di numerosi strumenti tradizionali turchi, gli stessi che molto tempo dopo avrebbero spinto parecchi compositori (Mozart e Haydn in primis) a evocarne nelle loro opere le sonorità vivaci e coloratissime – a delineare la figura dell’allora ventunenne sultano Maometto II, successo al padre Murad II solo due anni prima. Il tono baldanzoso della marcia dei giannizzeri innerva anche lo scoppio della guerra e lo scontro, mentre in campo cristiano – rassegnato a una rovina che sembrava ormai ineluttabile – prevale l’atmosfera intensa e profondamente spirituale della messa L’homme armé, una delle opere più emblematiche del repertorio sacro fiorito in epoca rinascimentale. Tra il XV e il XVI secolo sul tema della chanson francese L’homme armé vennero infatti composte moltissime messe, di cui ce ne sono pervenute circa 40 di compositori attivi in ogni parte d’Europa, tra cui i francesi Pierre de la Rue e Guillaume Dufay, lo spagnolo Cristóbal de Morales, il fiammingo Johannes Ockeghem, l’olandese Matthaus Pipelare e – tra gli italiani – Giovanni Pierluigi da Palestrina e Giacomo Carissimi.

La scelta di eseguire i brani dell’Ordinarium di questa messa di quattro autori diversi può essere vista come un modo per esprimere l’unanime compianto della cristianità per la fine della Città Regina e un’accorata preghiera per riavvicinarsi a Dio nell’ora più buia della disfatta, quando ogni speranza sembrava destinata a crollare. Tra gli autori più famosi selezionati per questa sorta di pasticcio sacro ante litteram spicca il nome di Guillaume Dufay, autore franco-fiammingo attivo per molti anni in Italia, che scrisse anche la Lamentatio Sanctae Matris Ecclesiae Costantinopolitanae, un brano intriso di una profonda commozione e strutturato secondo i modelli della chanson profana e del mottetto sacro, nel quale la disfatta patita per mano delle armate musulmane viene commemorata con il compianto della Vergine su Cristo morto e con una citazione tratta dalle Lamentazioni di Geremia, scritte come noto dal profeta ebreo per un altro evento epocale, ossia la caduta di Gerusalemme.
Di Dufay fu per qualche anno segretario Johannes Regis, citato tra i maggiori autori della seconda metà del XV secolo dal celebre trattatista Johannes Tintoris, al quale dobbiamo Celsi tonantis, un brano pervenutoci grazie al Codice Chigi, un manoscritto meravigliosamente miniato realizzato tra il 1498 e il 1503 con ogni probabilità per Filippo il Bello, figlio dell’imperatore Massimiliano d’Asburgo e marito di Giovanna La Pazza di Spagna. Dalle tenebre della morte e della distruzione emerge infine la luce della pace, che cala sul mondo come un balsamo benefico con il sublime Agnus Dei della Missa L’homme armé di Josquin Desprez, tra i massimi esponenti della scuola franco-fiamminga, anch’egli attivo per molti anni in Italia e definito da Martin Lutero – uno che di musica se ne intendeva – «il padrone delle note».